
La violazione della privacy è sempre più spesso invocata in un contesto sociale dove tuttavia tutto è reso pubblico dai social. Sempre più persone condividono sui principali social network la loro posizione, le loro abitudini culinarie, le visite ai luoghi di villeggiatura, le tendenze politiche, religiose e quelle sessuali… certo alcuni restringono la visibilità di tali informazioni ai soli amici più stretti, altri invece lasciano che tutti possano accedere alle foto e video che ritraggono le loro caratteristiche abitudini.
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Qual è allora il problema, perché è così invocata la violazione della privacy
La libertà di condividere le informazioni con chi più ci aggrada è la premessa, che viene poi messa in discussione quando l’informazione viene manipolata/usata da chi, a nostro parere, non ne ha il diritto.
La Corte di Cassazione, Sezione Lavoro Civile, con la sentenza n.11322 di maggio 2018 ha fatto chiarezza laddove sorgeva l'esigenza di registrare conversazioni, immagini e video nel contesto lavorativo.
Ricordiamo il caso di licenziamento di un dipendente, ritenuto poi illegittimo dalla Corte di merito, che avendo ricevuto un richiamo disciplinare con relativa sanzione, aveva registrato conversazioni e immagini video all’insaputa dei colleghi, da poter utilizzare in giudizio per provare la sua innocenza nei provvedimenti disciplinari a suo carico. Il datore di lavoro, cui il dipendente aveva consegnato una Pen drive contenente le registrazioni di conversazioni tra colleghi nell’orario di lavoro, ne aveva disposto il licenziamento.
La legge sulla privacy definisce come “dato personale” qualsiasi informazione relativa alle caratteristiche abitudini, lo stile di vita, l’orientamento sessuale, le relazioni personali, la situazione economica, lo stato civile, lo stato di salute, ma soprattutto le immagini e la voce della persona.
È possibile registrare le conversazioni dei colleghi
La Corte di Cassazione ha stabilito che è legittimo registrare conversazioni dei colleghi a loro insaputa con audio, foto e video purché il materiale non venga esibito in altra sede diversa da quella giudiziaria, come elemento di prova, per dimostrare la propria estraneità/innocenza nei procedimenti disciplinari a proprio carico e per tutelare la propria posizione lavorativa all’interno di un’azienda.
È legittimo trattare dati personali senza il consenso dell’interessato
La sentenza pone in rilievo la questione del trattamento dei dati personali, evidenziando che è legittimo anche in assenza del consenso dell’interessato quando è rivolto a far valere o difendere un diritto in sede giudiziaria, a condizione che i dati siano trattati solo per tali finalità e per il tempo necessario a perseguirle.
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- by Carmelina Moccia
- on 15 Febbraio 2019